mercoledì 30 novembre 2011

Wakan Tanka grande consigliere nativo d' America


Il Grande Spirito è una concezione di essere supremo, diffusa soprattutto tra le culture dei nativi americani. Chiamato anche Wakan Tanka dai Lakota, Gitchi Manitou (da cui il semplice termine Manitù) dagli Algonchini e Oki dagli Irochesi, il Grande Spirito è una concezione panenteistica di Dio.

Secondo le credenze pellerossa, il Grande Spirito sarebbe vicino alla gente, oltre che il creatore di ogni cosa sul mondo materiale, e regnerebbe in un Paradiso chiamato Happy Hunting World.

Il capo Dan Evehema, guida spirituale degli Hopi, così descrisse il Grande Spirito:

"Per gli Hopi, il Grande Spirito è onnipotente. Egli ci ha insegnato come vivere, lavorare, dove andare e cosa mangiare; ci ha dato semi da piantare e coltivare. Ci ha dato una serie di tavole di pietra, nelle quali soffiò tutti i suoi insegnamenti, al fine di salvaguardare la sua terra e la vita. In quelle tavolette vi erano incisi istruzioni, profezie ed ammonimenti"

Nel Manituismo sono presenti delle "guide spirituali", persone investite o quantomeno riconosciute dalla comunità come intermediari tra la Terra e la divinità. Tuttavia, rispetto alle religioni abramitiche, nel Manituismo è particolarmente accentuato l'aspetto panenteistico.

Grande Spirito

Gli indiani e il Grande Spirito



Gli indiani d'America mi hanno sempre ispirato un sentimento di profondo rispetto e stima per il loro modo di vivere e per la loro filosofia di vita con la quale si rapportavano all'ambiente che li accoglieva e li sostentava; e lo facevano in maniera fondamentalmente umile, prendendosi solo ciò di cui avevano bisogno, scusandosi con gli spiriti e ringraziandoli per quello che facevano proprio. Tutto qui...

in questa pagina ho raccolto alcune delle più belle saggezze indiane, Vi consiglio ogni tanto di leggerle, una per una con calma, è come prendere una medicina! (Le citazioni sono tratte da www.grandespirito.it)


Allora, io ero la, sulla più alta delle montagne, e tutto intorno a me c'era l'intero cerchio del mondo. E mentre ero la, vidi più di ciò che posso dire e capii più di quanto vidi; perché stavo guardando in maniera sacra la forma spirituale di ogni cosa, e la forma di tutte le cose che, tutte insieme, sono un solo essere. E io dico che il sacro cerchio del mio popolo era uno dei tanti che formarono un unico grande cerchio, largo come la luce del giorno e delle stelle, e nel centro crebbe un albero fiorito a riparo di tutti i figli di un'unica madre ed in un unico padre.
E io vidi che era sacro...
E il centro del mondo è dovunque.
Il tramonto
Alce Nero (Heaka Sapa)
(1863-1950)
Sioux Orlala




Questa notte ti ho sognata.
Nel sogno camminavi sui ciottoli della riva,
e io camminavo con te.
Ti ho sognata,
e sembrava fossi sveglio:
ti inseguivo,
ti desideravo,
e tu eri desiderabile
come una giovanissima foca.
Tu eri una giovanissima foca
che si immerge
quando si sente inseguita dal cacciatore.
Così ti ho sognata,
così eri desiderabile.
Canto d'amore
tribù degli Inuit
Un uomo Sacro ama il silenzio, ci si avvolge come in una coperta: un silenzio che parla, con una voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose. Uno sciamano desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti. Se ne sta seduto, con il viso rivolto a ovest, e chiede aiuto. Parla con le piante, ed esse rispondono. Ascolta con attenzione le voci degli animali. Diventa uno di loro. Da ogni creatura affluisce qualcosa dentro di lui. Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo so, ma è così. Io l'ho vissuto. Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere la natura come un uomo bianco sa leggere un libro.
Cervo Zoppo
Sioux


Tutto ciò che il Potere del Mondo fa, lo fa in circolo. Il cielo è rotondo, e ho sentito dire che la terra è rotonda come una palla, e che così sono le stelle. Il vento, quando è più potente, gira in turbini. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, perché la loro religione è la stessa nostra. Il sole sorge e tramonta sempre in circolo. La luna fa lo stesso, e tutt'e due sono rotondi. Perfino le stagioni formano un grande circolo, nel loro mutamento, e sempre ritornano al punto di prima. La vita dell'uomo è un circolo, dall'infanzia all'infanzia, e lo stesso accade con ogni cosa dove un potere si muove. Le nostre tende erano rotonde, come i nidi degli uccelli, e inoltre erano sempre disposte in circolo, il cerchio della nazione, un nido di molti nidi, dove il Grande Spirito voleva che noi covassimo i nostri piccoli.
Alce Nero (Heaka Sapa)
(1863-1950)
Sioux Oglala



Luminosi insetti di fuoco bianco.
Piccoli insetti, piccoli fuochi vagabondi.
Ondeggiate come stelle sopra il mio letto.
Illuminate di piccole stelle il mio sonno.
Piccolo insetto danzante di fuoco bianco, vieni.
Piccolo e veloce insetto notturno di fuoco bianco, vieni.
Regalami la bianca e magica luce della tua chiara fiamma,
della tua minuscola fiaccola di stelle.
Canto della lucciola
tribù del nord-est



Oh Terra
per la forza del mio cuore
Ti ringrazio.
Oh Nuvola
per il sangue nel mio corpo
Ti ringrazio.
Oh Fuoco
per la luminosità nei miei occhi
Ti ringrazio.
Oh Sole
per la vita che mi hai dato
Ti ringrazio.
Orso in Piedi
(1829-1908)
Sioux Teton




"Il Creatore lassù è il Grande Spirito ed il Grande Mistero, i Suoi doni sono abbondanti più di quanto tu non voglia. Egli ti porge un ramo di amore e protezione e ti disegna dove la terra è tranquilla, l'aria pura e l'acqua pulita e limpida abbastanza per dare la vita. Tu cammini, tu respiri, tu mangi, per te questi sono i piaceri. Quando il tuo cuore sarà stanco ed il tuo cerchio fuori equilibrio, Egli ti farà salire nuovamente e ti disegnerà sulla buona strada dei Menominee, per questo Egli è forte e saggio."
Wae Wae Non Ne Mot
dalla versione Menominee del 23° Salmo
Menominee Tribe of Wisconsin



"Vivi la tua vita in maniera tale che la paura della morte non possa mai entrare nel tuo cuore. Non attaccare nessuno per la sua religione; rispetta le idee degli altri, e chiedi che essi rispettino le tue. Ama la tua vita, migliora la tua vita, abbellisci le cose che essa ti da. Cerca di vivere a lungo e di avere come scopo quello di servire il tuo popolo. Prepara una nobile canzone di morte per il giorno in cui ti incamminerai verso la grande separazione. Rivolgi sempre una parola od un saluto quando incontri un amico, anche se straniero, in un posto solitario. Mostra rispetto per tutte le persone e non umiliarti davanti a nessuno. Quando ti svegli al mattino ringrazia per il cibo e per la gioia della vita. Se non trovi nessun motivo per ringraziare, la colpa giace solo in te stesso. Non abusare di niente e di nessuno, per farlo cambia le cose sagge in quelle sciocche e priva lo spirito delle sue visioni. Quando arriverà il tuo momento di morire, non essere come quelli i cui cuori sono pieni di paura, e quando arriverà il loro momento essi piangeranno e pregheranno per avere un 'altro poco di tempo per vivere la loro vita in maniera diversa. Canta la tua canzone della morte e muori come un eroe che sta tornando alla casa."
Capo Tecumseh
(1768-1813)
Nazione Shawnee



"Le guerre sono combattute per vedere chi è il proprietario della terra, ma alla fine la terra possiede gli uomini. Chi osa dire che ne è il proprietario - non è egli sepolto sotto di essa?"
Cochise (Hardwood)
(1812-1874)
Apache Chiricahua


"Avanza sulla scia dell'arcobaleno, avanza sulla scia di una canzone, e tutto sarà bello per te.
C'è una strada fuori da ogni oscura foschia, oltre la traccia dell'arcobaleno."
Canto Navajo


Non ho frequentato le scuole superiori, ma il Grande Spirito mi ha donato qualcosa che in nessuna scuola avrei mai potuto imparare: il cuore e la volontà di raggiungere la conoscenza. Spero che i nostri giovani continuino a ricercare la verità: la verità che la natura regala a tutti quelli che, con sincerità, vi aspirano. Molti uomini colti comprendono assai poco dell'opera del Grande Spirito e dei suoi miracoli, eppure questa conoscenza è posseduta da tanti uomini che non sono andati a scuola. Io non ho frequentato le vostre scuole superiori. Ho frequentato la migliore università che ci sia, quella che è ovunque là fuori: la natura.
Tatanka Mani (Bisonte che Cammina)
(1871-1967)
Assiniboine


"Ho curato gli uomini con il potere che passò attraverso di me. Certamente, non fui io a curare, ma il potere del mondo divino, le visioni e le cerimonie mi fecero strumento attraverso il quale il potere giunse fino agli uomini."
"Se mai avessi pensato di averlo fatto da solo, mai il potere sarebbe passato attraverso di me. Così tutto quello che avrei potuto fare sarebbe stato sciocco."
Alce Nero (Heaka Sapa)
(1863-1950)
Sioux Orlala


Che cos'è la vita?
È lo scintillio
Della lucciola nella notte.
È il respiro
Del bisonte in inverno.
È la piccola ombra
Che si arrischia sull'erba
E si perde al tramonto del sole.

Comandante


Comandante, incarico, funzione, indipendente dal grado militare usato in molte marine, nell'esercito, nell'aviazione per indicare il responsabile a capo di una nave da guerra, di un impianto militare, di un presidio militare o di un contingente di forza aerea.

Comandante, grado più elevato e massima autorità a bordo di una nave mercantile ovvero civile (Vedi Art. 186 e Art. 292 e seguenti del Codice della Navigazione). A bordo alle navi da passeggeri di oltre 20.000 GT, è seguito in ordine gerarchico discendente dal Comandante in seconda. A bordo delle navi da passeggeri inferiori a 20.000 GT, e su tutte le altre navi, il comandante è seguito in ordine gerarchico discendente dal Primo Ufficiale.

Comandante grado più elevato e massima autorità a bordo di un aeromobile civile, (vedi Art. 809 del Codice della Navigazione). A bordo degli aeromobili dell'aviazione civile il comandante è seguito in ordine gerarchico discendente dal Primo Ufficiale.

Comandante Superiore, titolo onorifico, per comandanti appartenenti o appartenuti ai Ruoli del personale di Stato Maggiore in Regolamento Organico delle Società del GRUPPO FINMARE, aventi al loro attivo: ventisei anni di anzianità di servizio e ventiquattro mesi di effettivo comando su navi di oltre 28.000 TSL con velocità superiore a 20 miglia all'ora impiegate in servizi transoceanici di linea.

Comandante Superiore, posizione contrattuale massimo livello professionale raggiungibile per comandanti del traffico aereo dell' aviazione civile, dipendente da particolari requisiti di anzianità. Vedi CCNL PILOTI Av.Civ. e Norme sullo " Stato Giuridico della Gente dell' Aria ", è seguito in ordine discendente dal Primo Comandante.

Comandante, documentario su Fidel Castro del 2003 diretto da Oliver Stone.

Halloween


Come in un bassorilievo antico i volti dei santi in Paradiso guardano in un’unica direzione. Sono rapiti da una corrente d’amore che cattura i loro sguardi a formare l’unica Chiesa che ha un cuor solo e un’anima sola. L’originaria corrente d’amore trinitaria non si vede, protetta dalla nuvola dorata che l’amore di Dio ha innalzato ad impedire che la creatura svanisca di fronte alla sua onnipotenza. Il loro sguardo è diretto verso il centro dove si erge la figura dell’Agnello che ancora reca le cicatrici del supplizio. Sono segni trasfigurati. Le ferite dei chiodi e della lancia hanno lasciato il posto alle stigmate del martirio, testimonianza di un amore eterno che non viene mai meno e sempre pulsa a conquistare il cuore degli uomini. A quella vista anche i volti dei fedeli in contemplazione sono trasfigurati.
Risplendono sul loro volto le beatitudini da Gesù proclamate sul monte. I poveri di spirito si sentono a casa. I volti rigati dalle lacrime sono asciutti. Sono appagati gli sguardi di coloro che hanno percorso la vita alla ricerca della giustizia. I miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati, i martiri, sono protetti dal manto della misericordia di Dio. Splendenti di luce, i beati leggono nel cuore degli uomini, sanno delle loro paure e dei loro affanni e tengono viva la comunione tra cielo e terra. La festa dei santi è speranza per i cristiani e per gli uomini che Dio ama.

Martirologio Romano: Solennità di tutti i Santi uniti con Cristo nella gloria: oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni.

La festa di tutti i Santi, il 1 novembre si diffuse nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi anche a Roma, fin dal sec. IX.
Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: “l’assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.

Dai “Discorsi” di san Bernardo, abate
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che é lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomaparabile abbia a diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere. (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)

Godete e rallegratevi, perché grande è la vostro ricompensa nei cieli.
La beatitudine, consiste nel raggiungimento di ciò che colma e fa felice definitivamente il cuore dell’uomo. È la felicita che hanno conseguito i santi, che oggi celebriamo riuniti in un’unica festa. È una schiera che nessuno può numerare e che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’ Agnello, hanno cioè sperimentato in vita e in morte l’infinita misericordia di divina e vivono, anche per le loro virtù, nella beatitudine eterna. Una beatitudine a cui ogni fedele aspira nella speranza che lo stesso Cristo ci infonde. Il Cristo annuncia una felicità che non è nell’ordine dei valori terreni, ma è in vista del Regno, proclamato da lui, e, pur cominciando già su questa terra per coloro che accolgono Cristo e le sue esigenze, sarà definitiva solo nell’eternità. La Chiesa, formata da tutti i santi, ci invita oggi a guardare al futuro e al premio che Dio ha riservato a coloro che lo seguono nel difficile cammino della perfezione evangelica. Tutti vorremmo che, dopo la nostra morte, questo giorno fosse anche la nostra festa. Gesù ci invita a godere e rallegrarci già durante il percorso in vista dell’approdo finale. La santità quindi non è la meta di pochi privilegiati, ma l’aspirazione continua e costante di ogni credente, nella ferma convinzione che questa è innanzi tutto un progetto divino che nessuno esclude e che ci è stata confermata a prezzo del sacrificio di Cristo, che ha dato la vita per la nostra salvezza, quindi per la nostra santità. Non conseguire la meta allora significherebbe rendersi responsabile di quel grande peccato, che nessuno speriamo commetta, di vanificare l’opera redentiva del salvatore. Sant’Agostino, mosso da santa invidia soleva ripetersi: “Se tanti e tante perché non io?”

martedì 29 novembre 2011

L'angelo della morte


ʿAzrāʾīl (forma inglese dell'arabo: عزرائیل, 'Ezra'il o 'Ezra'eil, letteralmente: "colui che Dio aiuta") è il nome tradizionalmente attribuito nell'Islam all'angelo della morte, anche se esso non compare mai nel Corano in cui invece è, di solito, indicato come Malak al-mawt, che è la traduzione diretta di "Angelo della morte". Si può trovare scritto anche come Izrail, Izrael, Azrail e Azrael.

Azrael fu inizialmente conosciuto dalla tradizione ebraica come Azra e scriba nel corso dell'esilio babilonese e del secondo Tempio di Gerusalemme.

Nella tradizione invece del primo periodo cristiano, divenne noto come Esdras, il profeta che porta lo spirito del Messia. Fu in questa storia del primo Cristianesimo che si sostenne che Azrael fosse asceso al cielo senza sperimentare la morte. È anche menzionato come "Angelo della Legge".

Genericamente è dipinto come arcangelo sotto il comando di Dio anziché come la figura della Morte personificata. A seconda dei punti di vista delle varie religioni in cui è conosciuto, Azrael è rappresentato come residente nel Terzo Cielo. Ha quattro facce, e quattrocento ali, e il suo intero corpo consiste in occhi e lingue, il cui numero corrisponde a quello delle persone che abitano la Terra.
Sarà l'ultimo a morire, registrando e cancellando costantemente il grande libro dei nomi degli uomini alla nascita ed alla morte, rispettivamente.[1]

Azrael è anche raffigurato come il più astuto e saggio degli arcangeli. Una storia del Corano dice che Dio chiese ai quattro arcangeli (Michele, Gabriele, Uriel ed Azrael) di raccogliere sette manciate di terra dalla base dell'Albero della Vita nel Giardino dell'Eden. Essi realizzarono che solo tre di loro avrebbero potuto presentarsi al Signore con due manciate, mentre l'ultimo avrebbe potuto prendere solo una manciata. Mika'il e Uriel immediatamente iniziarono a discutere su chi avrebbe dovuto portare due manciate, e chi avrebbe dovuto portarne solo una. Gibril cercò di mediare tra i due, ma fu distratto anche lui dalla polemica in corso, consentendo così ad Azrael di prendere da solo le sette manciate di terra che mise successivamente in una borsa e che portò a Dio.

Azrael è il soggetto di uno dei capolavori del pittore russo Mikhail Vrubel.

Nel film Dogma di Kevin Smith, Azrael è stato cacciato dal paradiso per non essersi schierato nel momento della ribellione di Lucifero e cerca di cancellare l'esistenza per sfuggire alla sua condanna.

Nel manga Chrono Crusade, Rosette, la protagonista, canta con il fratello ricordando l'angelo Azrael.

Nel manga Angel Sanctuary, Azrael appare come uno dei personaggi, insieme ad altri angeli ed arcangeli.

Il protagonista della serie di libri La guerra degli Alati scritta da Jay Amory si chiama Azrael

Azrael è il titolo di una canzone della band black metal Marduk, contenuta nell'album La grande danse macabre.

Azrael è il nome scelto da uno degli alleati di Batman, Jean Paul Valley.

Azrael è il nome in lingua originale del gatto del mago Gargamella, nel fumetto e nella serie di cartoni animati de I Puffi. In italiano "Birba".

Azrael compare nel manga Neon Genesis Evangelion come uno degli angeli mandati sulla terra.

Azrael è il protagonista del libro Lo schiavo del tempo, della scrittrice Anne Rice.

Lord Azrael (o Azriel) è il padre di Lyra, protagonista del libro La Bussola d'Oro, primo della trilogia Queste oscure materie di Philip Pullman.

Azrael è il titolo di una canzone della band heavy metal Crimson Glory, contenuta nell'album Crimson Glory

Azrael appare nel videogioco prodotto da Vigil Games Darksiders,come aiutante del protagonista Guerra

Il guerriero dell' arcobaleno


Non ho ancora trovato il tempo di parlare di precognizione e profezia, sebbene nell’ambito della nuova scienza abbia già parlato della scientificità dei fenomeni ESP; in attesa di spiegare con dovizia di particolari quali possano essere la basi scientifiche della possibilità di vedere nel futuro (lo farò al più presto) voglio regalarvi questa profezia che ho trovato (sincronicamente) quando stavo pensando: “Ma le profezie sulla fine di questa epoca non mi sembrano molto precise, perchè non parlano mai del ruolo di chi si oppone ai Grandi Criminali che vogliono costruire il Nuovo Ordine Mondiale, a chi si oppone all' avvelenamento della nostra Madre Terra”

Molte tribù di nativi del Nord America (“pellirosse”) condividono (a parte alcune sfumature differenti) questa leggenda o profezia dei Guerrieri dell’Arcobaleno, che qui riporto nella narrazione di indiano pueblo di oggi.
Essa è tratta dal libro di Chris Morton e Ceri Louise Thomas, Il mistero delle 13 chiavi, Sonzogno 1993, pag 310, 311



“Gli antenati narravano che esseri dalla pelle chiara sarebbero giunti dal mare orientale su grandi canoe mosse da immense ali bianche, simili a giganteschi uccelli. Le persone scese da queste grandi imbarcazioni sarebbero state anch'esse simili a uccelli, ma avrebbero avuto i piedi di due diverse forme: uno di colomba, l’al­tro di aquila. Il piede di colomba rappresenterebbe una nuova splendida religione di amore e gentilezza, mentre quello di aquila rappresenterebbe l’avidità per le ricchezze materiali, l'arroganza tecnologica e la perizia guerriera.
Per molti anni il piede artigliato dell'aquila avrebbe dominato perché, sebbene questo nuovo popolo avesse parlato molto della nuova religione, non tutti i visi pallidi vivevano secondo i suoi det­tami; avrebbero invece artigliato gli indiani col loro piede di aqui­la, uccidendoli, sfruttandoli e infine riducendoli in schiavitù.
Dopo aver offerto una certa resistenza a quella sopraffazione, gli indiani avrebbero perso il coraggio, finendo per lasciarsi sospin­gere come un gregge e segregare in territori angusti per molti, molti anni. Poi però sarebbe venuto il tempo in cui la Terra si sarebbe ammalata a causa dell'avidità senza freni della nuova civiltà... liquidi e metalli mortiferi, aria irrespirabile per fumi e ceneri, e persino la pioggia, anziché purificare la Terra, avrebbe riversato gocce avvelenate di piombo. Gli uccelli sarebbero cadu­ti dal cielo, i pesci sarebbero venuti a galla col ventre per aria e tutte le foreste avrebbero incominciato a morire.
Quando queste previsioni avessero cominciato ad avverarsi, il popolo indiano si sarebbe trovato al colmo della miseria, ma in seguito dall'Oriente sarebbe giunta una nuova luce e gli indiani avrebbero incominciato a ritrovare la forza, l’orgoglio e la salvez­za. La leggenda continuava dicendo che essi avrebbero avuto dalla loro molti fratelli e sorelle visi pallidi: le reincarnazioni degli indiani uccisi o ridotti schiavi dai primi colonizzatori bianchi. Sì diceva che le anime di costoro sarebbero tornate in corpi di tutti i colori, rossi, bianchi, gialli e neri. Insieme e uniti, come i colori dell’arcobaleno, costoro avrebbero insegnato a tutte le genti del mondo come amare e rispettare la Madre Terra, della cui sostan­za siamo fatti anche noi umani.
Sotto il simbolo dell'arcobaleno, tutte le razze e tutte le religioni del mondo si sarebbero unite per diffondere la grande saggezza della vita nell'armonia tra gli esseri umani e di questi con tutto il creato. Coloro che insegnavano questo credo sarebbero stati chia­mati i "Guerrieri dell'Arcobaleno". Pur essendo guerrieri, avrebbero contenuto in sé gli spiriti degli antenati, avrebbero portato la luce della conoscenza nella mente e l'amore nel cuore. Non avrebbero fatto del male a nessun essere vivente. La leggenda ter­minava affermando che, dopo una grande battaglia, grazie alla sola forza della pace, questi Guerrieri dell'Arcobaleno avrebbero finalmente troncato l’opera di distruzione e dissacrazione della Madre Terra e che la pace e l’abbondanza avrebbero regnato per una lunga, felice e pacifica età dell'oro qui sulla Terra”.


E questo che segue è il bel commento di Enzo Braschi nel suo libro Vicini alla Creazione, IdeaLibri 2000, pag 296-298

Non so quanti di noi siano Guerrieri dell'Arcobaleno. So comun­que che ce ne sono già tanti in ogni luogo della Terra e che il loro numero sta crescendo sempre di più.
Volerlo essere è facile: basta amare e rispettare la Creazione. Volerlo essere è difficile; si deve infatti prima di tutto imparare a disimparare molto del tanto che ci è stato insegnato e che ci ha allontanati dalla Creazione stessa. Ci può volere davvero tanto tempo, costanza, amore e pazienza soprattutto verso noi stessi, che diventiamo i bambini a cui dobbiamo insegnare tutto da capo. Spesso sbaglieremo ancora, spesso riterremo di essere sulla strada buona e ci accorgeremo un attimo dopo di essere ancora una volta vittime di antichi pregiudizi, stupidi luoghi comuni, modi di pen­sare che non ci appartengono. Le vecchie abitudini torneranno ad avere il sopravvento: è facile non poter fare a meno, alla fine, del nostro persecutore; è difficile lasciarsi andare alle passioni laddo­ve esse servano a condurci solo ad innamorarci della perfezione. Se ci si lascerà piegare come una pianta di bambù ma si saprà resi­stere, se non ci si schianterà come una quercia che con arroganza pensa di essere incrollabile, si sarà già percorso un buon tratto di strada.
A quel punto si potrà continuare a voler essere un Guerriero dell’Arcobaleno. Si sarà ancora vulnerabili ma incredibilmente più forti che in passato, penseremo. E invece sarà anche più duro di com'era prima di imbarcarsi in quest’impresa. Perché ci si sen­tirà soli, ed è terribile scoprire di essere soli in mezzo a una miria­de di esseri umani uguali a noi. Si avranno da dire e da fare tante cose e ci si accorgerà di non trovare orecchie disposte ad ascolta­re, e non si saprà da dove cominciare per cambiare davvero le cose. Credo inoltre che nessuno dovrebbe mai assumersi il ruolo di "insegnante" di nessun altro. Pensare di essere un maestro ritengo sia peccato molto grave. Con tutta la buona fede che si può avere, pare presuntuoso assumersi tale compito. Sarebbe oltremodo giusto che ognuno arrivasse a costruirsi il suo mondo con le sue stesse mani. Ma non sempre è così, o quantomeno, a volte sembra opportuno il voler tentare di accorciare le distanze, soprattutto quando si avverte che i tempi lo esigono. Così si deve provare a condividere con gli altri quello che si sente, che si sa, che si ritiene buono, e aspettare con pazienza di vedere germo­gliare i nostri semi, sempre che i semi siano quelli di una buona pianta. Può funzionare, così come può risultare sforzo vano, sciocco e inutile.
Si sarà dunque soli, si sarà perduta la vecchia strada fatta di vuote certezze, ma pur sempre la strada che la maggioranza della gente percorre da sempre; si sarà sbigottiti, confusi, così confusi dal giungere alla conclusione di avere sbagliato a lasciar andare tutto per … per cosa poi? Per niente.
Quello sarà davvero il momento più cattivo: il baratro che ci si aprirà dinanzi e alle spalle. Ci si scoprirà in bilico su un sostegno fragilissimo: in qualunque direzione ci si volterà non si vedrà altro che una spessa coltre di nebbia. Sotto di noi sarà il precipizio nel quale si potrebbe scivolare senza mai arrivare a toccare il fondo. Sopra, di contro, sarà l'assenza di una voce, di un segno che ci indichi che cosa fare.
Si dovrà andare avanti. Letteralmente. Basterà trovare appena quel poco di coraggio necessario ad allungare un piede sul niente e camminare: prima un piede, poi l'altro, e poi un altro ancora... Quello che ci era parso il vuoto più opprimente ci sosterrà, essen­do ciò che facciamo il più solido dei fondamenti. Potremmo sen­tirci forse ancora soli, voltare le spalle e vedere le cose a noi fami­liari sfumare a poco a poco insieme alla moltitudine delle facce di chi ci è stato compagno di viaggio per tutto quel tempo che non tornerà mai più; sentire freddo, provare terrore per la buia oscu­rità che ci si parerà dinanzi e che dovremo attraversare.
Non credo sia così, che cioè si vada incontro alla solitudine e alle tenebre. Penso, al contrario, che a quel punto del nostro percor­so si accenderà una luce, che la strada si farà più ampia e sicura, che voltandoci un'ultima volta vedremo altri seguirci. Non perché presuntuosamente noi saremo stati loro d'esempio. D'esempio lo si deve essere prima di tutto per noi stessi. Semplicemente perché altri cominceranno a non avere più paura, o saranno affascinati dalla paura o con essa intenderanno cimentarsi. Non è importan­te capire perché a volte si facciano certe cose. È importante com­prendere quando è tempo di farle. E questo è il tempo e bisogna avere fretta di farle, queste cose, se non si vuole rimanere per sem­pre indietro.

La tribu dei crow


Gli Absaroke, meglio conosciuti come Crow, sono una tribù di Nativi Americani . Appartenevano al gruppo linguistico dei Sioux ed erano stanziati nelle pianure del Montana e del South Dakota.

Dapprima i Crow erano uniti in una grande tribù ed erano contro i Sioux. Poi però, nel XVIII secolo, forse per un litigio riguardante la selvaggina, si divisero in due tribù: i River Crow e i Mountain Crow. I Crow furono i primi ad utilizzare il fucile. Durante la guerra indiana, i Crow si allearono con il Governo degli Stati Uniti fornendo esploratori all'esercito. Oggi i Crow sopravvivono con una popolazione di 5.000 individui in una riserva nel Montana.

Dapprima i Crow coltivavano mais ma, spostandosi e diventando nomadi, divennero abili cacciatori. Cacciavano soprattutto bisonti e facevano molto spesso razzie nei villaggi vicini. Divennero cavalieri molto abili e si rubavano di frequente i cavalli tra le tribù. Praticavano il culto del Sole e del tuono.

Stay With ME


...ma la mia accetta, fa meno male di un tradimento...

lunedì 28 novembre 2011

Squalo


Sono lo squalo
sono lo squalo
non faccio sconti e non faccio ostaggi
sono lo squalo
il vero squalo
un giorno io mi mangerò anche il mondo

Sono lo squalo
ho cento vite
ho mille denti
adoro la mia fame
sono lo squalo
il boia del mondo
e alla fine mangerò anche me stesso

Io mangio tutto
lo mangio a poco
e alla fine mangerò anche il vuoto
io mangio mangio perchè ho il coraggio
perchè sono l' opportunista a corto e lungo raggio
lo squalo mangia tutto
consuma chi consuma
la mia fame sacra è un' urgenza
una priorità

Lo squalo sono me

Sono il padrone
l' imperatore
dio degli abissi e delle liquidità
morto uno squalo se ne farà un altro
perchè c' è già qualcuno che vuol mangiar me

Lo squalo sono me

Io mangio tutto
lo mangio a poco
e alla fine mangerò anche il vuoto
io mangio mangio mangio
tutto l' ingranaggio
perchè sono l' opportunista a medio e lungo raggio
lo squalo mangia tutto
consuma chi consuma
la mia fame sacra è un' urgenza
una necessità

Lo squalo sono me
Lo squalo sono me

Metrica


La metrica è la struttura letteraria di un componimento poetico, che ne determina il ritmo e l'andamento generale: la critica letteraria, analizzando una parte significativa della produzione poetica di una certa cultura stabilisce dei canoni, delle categorie ricorrenti e significative, che classificano la composizione dei versi e delle strofe.

In greco ed in latino era fondata sulla quantità (brevità o lunghezza) delle sillabe (metrica quantitativa); nelle moderne lingue anglosassoni si basa su rima e alternanza degli accenti (metrica accentuativa); nelle lingue romanze su rime, accenti e numero delle sillabe.

Sempre con il termine metrica si indica anche quella particolare branca della scienza filologica che si occupa dello studio di queste strutt

Sinergia


La sinergia (dal greco συνεργός, che significa "lavorare insieme"), in generale, può essere definita come la reazione di due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente

In un contesto organizzativo, considerato che un gruppo coeso ottiene risultati maggiori rispetto all'azione dei singoli, la sinergia può definirsi la maggiore capacità di resa di un gruppo grazie all'azione collettiva dei suoi membri. Queste conclusioni derivano da studi condotti da Jay Hall su una vasta casistica di elementi raccolti durante analisi delle attività di gruppo.

In un'applicazione aziendale la sinergia corrisponde, pertanto, al lavoro di squadra che produce un risultato complessivo migliore di quello prodotto da ogni persona che stava lavorando per lo stesso obiettivo singolarmente. Tuttavia, il concetto di coesione del gruppo deve essere considerato. La coesione del gruppo è quella proprietà che viene dedotta dal numero e dalla forza dei reciproci atteggiamenti positivi tra i membri del gruppo. Quando il gruppo diventa più compatto, il suo funzionamento è influenzato in vari modi. In primo luogo, l'interazione e la comunicazione tra i membri del gruppo aumentano; inoltre aumenta la loro soddisfazione poiché il gruppo offre amicizia e sostegno contro le minacce esterne. Tuttavia, la coesione può avere effetti negativi: il gruppo potrebbe prendere decisioni più rischiose di quelle che avrebbe preso un componente singolarmente.

In un contesto tecnico corrisponde ad un gruppo di elementi diversi che lavorano insieme per produrre risultati non ottenibili con uno solo degli elementi. Il gruppo può essere composto da persone, hardware, software, servizi, documenti: tutte le cose necessarie per produrre risultati a livello di sistema. In sostanza, un sistema costituisce un insieme di componenti che lavorano insieme con un obiettivo comune: soddisfare alcune necessità designate.

Il termine "sinergia" è stato raffinato da Richard Buckminster Fuller, che ha analizzato alcune delle sue implicazioni più pienamente e ha coniato il termine "sinergetico". La sinergia può essere intesa come l'opposto del concetto di entropia. Quindi fu forse più di una "scoperta", etimologicamente parlando. Essa infatti è:

Uno stato dinamico nel quale l'azione di gruppo è favorita rispetto a quella di un singolo
L'azione di cooperazione di due o più stimoli (o farmaci) che producono una reazione diversa o superiore a quella prodotta dagli stimoli individualmente

Dopo un silenzio di 12 anni eccoli tornati con un nuovo lavoro leggi l' articolo uscito su facebook lunedì 28 novembre 2011 tre giorni dopo l'inedito


Tornano i Litfiba. A distanza di 12 anni dalla separazione, Piero Pelù e Ghigo Renzulli decidono di rimettersi in gioco e lo fanno con ciò che gli riesce meglio: la musica, quella rock per intenderci. Un singolo “Squalo” che anticipa l'uscita del loro nuovo album di inediti nei negozi dal prossimo 17 Gennaio. Dopo la parentesi del 2010 con l'album live “Stato libero di litfiba”, con questo new single in rotazione dal 25 Novembre su tutte le radio, la band fiorentina abbandona definitivamente un'etichetta scomoda per i fan di vecchia data, quella di gruppo divenuto troppo nazional-popolare. Furono infatti l'enorme successo e un sound molto commerciale intorno alla fine degli anni '90 a generare una crisi interna alla band culminata con l’abbandono di Pelù, per la quale, come successivamente ammesso dal duo, forti furono le pressioni esercitate da parte della casa discografica di allora, responsabile si dell'enorme successo di album quali Mondi Sommersi ed Infinito, ma allo stesso tempo carnefice della più grande Rock-band Italiana. Vecchie robe direbbero loro, di acqua sotto i ponti dell'Arno ne è passata. Dieci lunghissimi anni di carriere separate con episodi felici alternati a momenti poco prosperi. Ma la musica sembra cambiata, anzi, sembra tornata agli antichi fasti verrebbe da dire. I Litfiba ruggiscono di nuovo, graffianti come nei primi '90, pungenti ed ironici nei testi, potenti e ricercati nel sound. Il singolo “Squalo” si presenta con versi forse apparentemente banali, dietro ai quali si cela una metafora attuale, attualissima. Lo squalo è il consumismo, la finanza, il sistema bancario che tutto divora. E considerata la situazione politico-economica attuale, quanto mai azzeccato. Ascoltando la voce di Pelù, che con il suo tipico cantato onomatopeico interpreta al meglio ciò che intende comunicare, sembra di essere catapultati cronologicamente all'indietro, ai tempi di “Terremoto”, album pubblicato a pochi giorni dallo scandalo di Tangentopoli, il quale, scatenò non poche polemiche con pezzi decisamente forti, di denuncia, verso un sistema politico letteralmente in putrefazione, all'alba di una seconda Repubblica che avrebbe esclusivamente riciclato il peggio, cambiando semplicemente pelle. Il marchio di fabbrica della band fiorentina in fondo è sempre stato questo, mai scontati anche nelle tematiche affrontate fin dal primo album della svolta rock dopo il periodo new-wave, “El Diablo”, in aperta polemica con il Vaticano. Una band che ha sempre avuto qualcosa da dire, che ha costantemente cercato di rinnovarsi regalando pietre miliari del rock italiano quali 17Re e il live Colpo di coda, cosi diversi ma che ben si prestano a far comprendere la continua sperimentazione del duo. Talvolta sopra le righe anche negli atteggiamenti molto coloriti del suo front-man che ben si plasmano con l'aplomb del chitarrista ed autore Renzulli. Forse è proprio questa la forza dei Litfiba, la fusione perfetta tra i due, un'alchimia per la quale la Fender Stratocaster di Ghigo sembra creata apposta per assecondare le liriche di Piero e viceversa. Questo nuovo singolo lo dimostra appieno. Ottimi spunti e una grandissima produzione di Tim Palmer, un riff tipicamente sabbathiano accompagnato da buone tastiere che introducono un assolo tra il rock ed il blues, condito da una sezione ritmica ben strutturata. Ottima la voce di Pelù che finalmente ha deciso di mettere da parte improbabili falsetti ed è tornato ad utilizzare al meglio il talento vocale dal tocco baritonale che ne fa una figura originale, forse unica nel suo genere. Non male dunque, difficile aspettarsi di meglio da due artisti che alla soglia dei 50 e 60 anni e con alle spalle 30 anni di carriera, ancora sembrano in grado di proporre qualcosa di interessante in un panorama musicale italiano omologato a criteri che poco spazio concedono alla creatività artistica e alla libertà di espressione.